RASSEGNA STAMPA

L'UNITA' - La sentenza prova che c’era un piano studiato a tavolino

Roma, 20 maggio 2010

Intervista a Giuliano Giuliani

La sentenza prova che c’era un piano studiato a tavolino
Il padre di Carlo: finalmente viene a galla quanto abbiamo sempre sostenuto. Anche i Black Block vennero guidati e lasciati agire indisturbati

MASSIMO SOLANI

La cosa più importante non è se gli imputati sono stati condannati a 1 o a 2 o a 3 anni di reclusione. E nemmeno se i reati sono prescritti. Il dato fondamentale è che i vertici della polizia sono stati condannati per reati gravissimi. Tanto più gravi perché commessi da uomini in divisa». All’indomani della sentenza della corte d’appello che ha condannato i più alti gradi della polizia di stato per il massacro della scuola Diaz dell’ultima sera del G8 di Genova, Giuliano Giuliani ha nella voce la soddisfazione di chi ha visto qualcosa muoversi. Dopo i silenzi, le mezze verità e le tante assoluzioni. Fuori e dentro le aule dei tribunali. «Non solo a Berlino - dice - ma anche a Genova c’è un giudice».
Un giudice che ha ribaltato quanto era stato scritto nella sentenza di primo grado che aveva assolto tutti.
«Lo scandalo della sentenza di primo grado era nell’assoluzione “perché il fatto non sussiste” degli alti vertici della polizia. Com’era possibile pensare che nessuno di loro avesse avuto un ruolo nonostante tutti, ad esclusione del capo della Ps Gianni De Gennaro, quella sera fossero fuori dalla Diaz? E nonostante loro stessi si fossero gingillati col sacchetto che conteneva le molotov che poi erano state fraudolentemente portate all’interno della scuola per costruire prove false contro i ragazzi che dormivano dentro».
Il ministro dell’Interno Maroni e il sottosegretario Mantovano hanno detto che gli agenti condannati resteranno tutti al loro posto. Cosa ne pensa?
«Se è per questo hanno detto anche continuano a provare stima nei loro confronti. Ennesimo motivo per non avere nessuna stima né di Maroni né di Mantovano».
La sentenza d’appello solleva rimpianti per quella commissione di inchiesta che il governo Prodi provò, senza successo, a varare sui fatti di Genova.
«Di quella colpa vanno individuati i responsabili. A far naufragare quel progetto furono Mastella, l’Italia dei Valori, i socialisti, i radicali e anche Luciano Violante».
Dopo nove anni iniziano ora ad aprirsi crepe sulle verità di comodo troppo frettolosamente raccontate e sui silenzi colpevoli?
«Per la verità c’era già stata la sentenza d’appello sulle violenze della caserma Bolzaneto che, pur non riguardando gli alti gradi della Polizia, aveva visto condannati tutti gli imputati. Ma il giudizio di martedì è una cosa dal valore ben diverso. Al momento della lettura del dispositivo in molti hanno detto che imagistrati della corte d’appello hanno avuto coraggio. Ma questo povero paese è davvero così povero che per fare il proprio dovere oggi occorre avere coraggio? Ma perché le persone oneste non insorgono davanti a questo?».
Adesso è difficile continuare a sostenere la tesi degli errori isolati commessi da singoli agenti.
«La realtà è che Genova ha rappresentato uno spartiacque profondo, da lì in poi è iniziata una stagione repressiva studiata a tavolino. A Genova ci si avvalse addirittura dei cosiddetti black block che furono infiltrati, come raccontano decine di prove e filmati, utilizzati, guidati e lasciati agire indisturbati perché agli occhi dell’opinione pubblica rappresentassero l’alibi per la repressione».
Lei dice che finalmente “c’è un giudice a Genova”. Quello che è mancato per l’omicidio di suo figlio Carlo?
«Siamo in attesa dell’ulteriore pronunciamento della Corte Europea di Strasburgo e alla fine apriremo anche una causa civile, unico strumento rimasto per avviare un procedimento. Ma io aggiungo una riflessione amara: le sentenze Bolzaneto e Diaz non toccano minimamente la parte della repressione esercitata dai carabinieri, nonostante la sentenza di condanna nei confronti dei 25 manifestanti ha riconosciuto che in via Tolemaide ci fosse stata una reazione alle cariche violente, ingiustificate e indiscriminate eseguite dai reparti dei carabinieri. Eppure non c’è un solo militare indagato. Non è un caso se per l’omicidio di Carlo, ucciso da un carabiniere, non c’è stato alcun processo. Questo significa che un pezzo dell’apparato repressivo dello stato è sostanzialmente impunibile e credo che questo sia un problema per la democrazia del paese».